Il Colle

di Scipio

 

 

Carlo Collodi

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Carlo Collodi

 

Carlo Collodi

ovvero

Carlo Lorenzini

 

Carlo Collodi - all'anagrafe Carlo Lorenzini - (Firenze, 24 novembre 1826 Firenze, 26 ottobre 1890) scrittore e giornalista italiano famoso soprattutto come autore del romanzo "Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino", pi noto come Pinocchio.

 

I Racconti delle Fate

Libere traduzioni dal francese, eseguite da Collodi nel 1875, di alcune favole di Charles Perrault (1628-1703).

 

Pinocchio

 

 

Barba-blu

Incipit

C'era una volta un uomo, il quale aveva palazzi e ville principesche, e piatterie d'oro e d'argento, e mobilia di lusso ricamata, e carrozze tutte dorate di dentro e di fuori. Ma quest'uomo, per sua disgrazia, aveva la barba blu: e questa cosa lo faceva cos brutto e spaventoso, che non c'era donna, ragazza o maritata, che soltanto a vederlo, non fuggisse a gambe dalla paura. Fra le sue vicinanti, c'era una gran dama, la quale aveva due figlie, due occhi di sole. Egli ne chiese una in moglie, lasciando alla madre la scelta di quella delle due che avesse voluto dargli: ma le ragazze non volevano saperne nulla: e se lo palleggiavano dall'una all'altra, non trovando il verso di risolversi a sposare un uomo, che aveva la barba blu. La cosa poi che pi di tutto faceva loro ribrezzo era quella, che quest'uomo aveva sposato diverse donne e di queste non s'era mai potuto sapere che cosa fosse accaduto. Fatto sta che Barba-blu, tanto per entrare in relazione, le men, insieme alla madre e a tre o quattro delle loro amiche e in compagnia di alcuni giovinotti del vicinato, in una sua villa, dove si trattennero otto giorni interi. E l, fu tutto un metter su passeggiate, partite di caccia e di pesca, balli, festini, merende: nessuno trov il tempo per chiudere un occhio, perch passavano le nottate a farsi fra loro delle celie: insomma, le cose presero una cos buona piega, che la figlia minore fin col persuadersi che il padrone della villa non aveva la barba tanto blu, e che era una persona ammodo e molto perbene. Tornati di campagna, si fecero le nozze.

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La bella addormentata nel bosco

Incipit

C'era una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figliuoli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto. Andavano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora l: voti, pellegrinaggi; vollero provarle tutte: ma nulla giovava. Alla fine la Regina rimase incinta, e partor una bambina. Fu fatto un battesimo di gala; si diedero per comari alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese (ce n'erano sette) perch ciascuna di esse le facesse un regalo; e cos toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio torn al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascuna di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d'oro massiccio, dove c'era dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d'oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini. Ma in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre, perch da cinquant'anni non usciva pi dalla sua torre e tutti la credevano morta e incantata. Il Re le fece dare una posata, ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, una posata d'oro massiccio, perch di queste ne erano state ordinate solamente sette, per le sette fate. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo, e brontol fra i denti alcune parole di minaccia. Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sent, e per paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, appena alzati da tavola, and a nascondersi dietro una portiera, per potere in questo modo esser l'ultima a parlare, e rimediare, in quanto fosse stato possibile, al male che la vecchia avesse fatto.

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Cenerentola

Incipit

C'era una volta un gentiluomo, il quale aveva sposata in seconde nozze una donna cos piena di albagia e d'arroganza, da non darsi l'eguale. Ella aveva due figlie dello stesso carattere del suo, e che la somigliavano come due gocce d'acqua. Anche il marito aveva una figlia, ma di una dolcezza e di una bont da non farsene un'idea; e in questo tirava dalla sua mamma, la quale era stata la pi buona donna del mondo. Le nozze erano appena fatte, che la matrigna dette subito a divedere la sua cattiveria. Ella non poteva patire le buone qualit della giovinetta, perch, a quel confronto, le sue figliuole diventavano pi antipatiche che mai. Ella la destin alle faccende pi triviali della casa: era lei che rigovernava in cucina, lei che spazzava le scale e rifaceva le camere della signora e delle signorine; lei che dormiva a tetto, proprio in un granaio, sopra una cattiva materassa di paglia, mentre le sorelle stavano in camere coll'impiantito di legno, dov'erano letti d'ultimo gusto, e specchi da potervisi mirare dalla testa fino ai piedi. La povera figliuola tollerava ogni cosa con pazienza, e non aveva cuore di rammaricarsene con suo padre, il quale l'avrebbe sgridata, perch era un uomo che si faceva menare per il naso in tutto e per tutto dalla moglie. Quando aveva finito le sue faccende, andava a rincantucciarsi in un angolo del focolare, dove si metteva a sedere nella cenere; motivo per cui la chiamavano comunemente la Culincenere. Ma la seconda delle sorelle, che non era cos sboccata come la maggiore, la chiamava Cenerentola. Eppure Cenerentola, con tutti i suoi cenci, era cento volte pi bella delle sue sorelle, quantunque fossero vestite in ghingheri e da grandi signore. Ora accadde che il figlio del Re diede una festa da ballo, alla quale furono invitate tutte le persone di grand'importanza e anche le nostre due signorine furono del numero, perch erano di quelle che facevano grande spicco in paese. Eccole tutte contente e tutte affaccendate a scegliersi gli abiti e le pettinature, che tornassero loro meglio a viso. E questa fu un'altra seccatura per la povera Cenerentola, perch toccava a lei a stirare le sottane e a dare l'amido ai manichini. Non si parlava d'altro in casa che del come si sarebbero vestite in quella sera. "Io", disse la maggiore, "mi metter il vestito di velluto rosso e le mie trine d'Inghilterra." "E io", disse l'altra, "non avr che il mio solito vestito: ma, in compenso, mi metter il mantello a fiori d'oro e la mia collana di diamanti, che non dicerto di quelle che si vedono tutti i giorni."

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Puccettino

Incipit

C'era una volta un taglialegna e una taglialegna, i quali avevano sette figliuoli, tutti maschi: il maggiore aveva dieci anni, il minore sette. Far forse caso di vedere come un taglialegna avesse avuto tanti figliuoli in cos poco tempo: ma egli , che la sua moglie era svelta nelle sue cose, e quando ci si metteva, non faceva meno di due figliuoli alla volta. E perch erano molto poveri, i sette ragazzi davano loro un gran pensiero, per la ragione che nessuno di essi era in grado di guadagnarsi il pane. La cosa che maggiormente li tormentava, era che il minore veniva su delicato e non parlava mai: e questo che era un segno manifesto di bont del suo carattere, lo scambiavano per un segno di stupidaggine. Il ragazzo era minuto di persona; e quando venne al mondo, non passava la grossezza di un dito pollice; per cui lo chiamarono Puccettino. Capit un'annata molto trista, nella quale la carestia fu cos grande, che quella povera gente risolvettero di disfarsi de' loro figliuoli. Una sera che i bambini erano a letto, e che il taglialegna stava nel canto del fuoco, disse, col cuore che gli si spezzava, alla sua moglie: "Come tu vedi, non abbiamo pi da dar da mangiare ai nostri figliuoli: e non mi regge l'animo di vedermeli morir di fame innanzi agli occhi: oramai io sono risoluto a menarli nel bosco e farveli sperdere; n ci vorr gran fatica, perch, mentre essi si baloccheranno a far dei fastelli, noi ce la daremo a gambe, senza che abbiano tempo di addarsene". "Ah!", grid la moglie, "e puoi tu aver tanto cuore da sperdere da te stesso le tue creature?" Il marito ebbe un bel tornare a battere sulla miseria, in cui si trovavano; ma la moglie non voleva acconsentire a nessun patto. Era povera, ma era madre: peraltro, ripensando anch'essa al dolore che avrebbe provato se li avesse veduti morire di fame, fin col rassegnarvisi, e and a letto piangendo. Puccettino aveva sentito tutti i loro discorsi: e avendo capito, dal letto, che ragionavano di affari, si lev in punta di piedi, sgattaiolando sotto lo sgabello di suo padre, per potere ascoltare ogni cosa senz'esser visto. Quindi ritorn a letto, e non chiuse un occhio nel resto della nottata, rimuginando quello che doveva fare. Si lev a giorno, e and sul margine di un ruscello, dove si riemp la tasca di sassolini bianchi: poi chiotto chiotto se ne torn a casa. Partirono, ma Puccettino non disse nulla ai suoi fratelli di quello che sapeva. Entrarono dentro una foresta foltissima, dove alla distanza di due passi non c'era modo di vedersi l'uno coll'altro. Il taglialegna si messe a tagliar legne, e i ragazzi a raccogliere delle frasche per far dei fastelli.

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Pelle d'asino

Incipit

C'era una voIta un Re cos potente, cos ben voluto da' suoi popoli e cos rispettato dai suoi vicini e alleati, che poteva dirsi il pi felice di tutti i monarchi della terra. Fra le sue tante fortune, c'era anche quella di avere scelta per compagna una Principessa, bella quanto virtuosa: e questi avventurati sposi vivevano come due anime in un nocciolo. Dal loro casto imeneo era nata una figlia, ornata di tutte le grazie e di tutte le attrattive, a segno tale da non far loro desiderare una figliuolanza pi numerosa. Il lusso, l'abbondanza, il buon gusto regnavano nel loro palazzo: i ministri erano saggi e capaci: i cortigiani virtuosi e affezionati: i domestici fidati e laboriosi: le scuderie vaste e piene de' pi bei cavalli del mondo, tutti coperti di magnifiche gualdrappe. Ma la cosa che faceva maggiormente stupire i forestieri, che venivano a visitare quelle belle scuderie, era che nel bel mezzo di esse e nel luogo pi vistoso, un signor Somaro faceva sfoggio delle sue grandi e lunghe orecchie. N si pu dire che questo fosse un capriccio; se il Re gli aveva assegnato un posto particolare e quasi d'onore, c'era la sua ragione. Perch bisogna sapere che questo raro animale meritava davvero ogni riguardo, a motivo che la natura lo aveva formato in un modo cos straordinario e singolare, che tutte le mattine la sua lettiera, invece di essere sporca, era ricoperta a profusione di bellissimi zecchini e napoleoni d'oro, che venivano raccattati, appena egli si svegliava. Ma siccome le disgrazie sono tegoli che cascano sul capo dei Re come su quello dei sudditi, e non c' allegrezza senza che ci sia mescolato qualche dispiacere, cos accadde che la Regina fu colta all'improvviso da una fiera malattia, per la quale n la scienza n i medici sapevano suggerire rimedio di sorta. La desolazione era al colmo. Il Re, tenero di cuore e innamoratissimo, a dispetto del proverbio che dice "Il matrimonio la tomba dell'amore", si dava alla disperazione e faceva voti ardentissimi a tutte le divinit del regno, e offriva la sua vita per quella di una sposa cos adorata: ma gli Dei e le fate erano sordi a ogni preghiera. Intanto la Regina, sentendo avvicinarsi l'ultim'ora, disse al suo sposo, il quale struggevasi in pianto: "Prima di morire, non vi abbiate a male se esigo da voi una cosa; ed , che nel caso vi venisse voglia di rimaritarvi...". A queste parole il Re dette in urli da straziare il cuore. Prese le mani di sua moglie e le bagn di pianto, giurando che era un di pi venirgli a parlare di un altro matrimonio.

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Le Fate

Incipit

C'era una volta una vedova che aveva due figliuole. La maggiore somigliava tutta alla mamma, di lineamenti e di carattere, e chi vedeva lei, vedeva sua madre, tale e quale. Tutte e due erano tanto antipatiche e cos gonfie di superbia, che nessuno le voleva avvicinare. Viverci insieme poi, era impossibile addirittura. La pi giovane invece, per la dolcezza dei modi e per la bont del cuore, era tutta il ritratto del suo babbo... e tanto bella poi, tanto bella, che non si sarebbe trovata l'eguale. E naturalmente, poich ogni simile ama il suo simile, quella madre andava pazza per la figliuola maggiore; e sentiva per quell'altra un'avversione, una ripugnanza spaventevole. La faceva mangiare in cucina, e tutte le fatiche e i servizi di casa toccavano a lei. Fra le altre cose, bisognava che quella povera ragazza andasse due volte al giorno ad attingere acqua a una fontana distante pi d'un miglio e mezzo, e ne riportasse una brocca piena. Un giorno, mentre stava appunto l alla fonte, le apparve accanto una povera vecchia che la preg in carit di darle da bere. "Ma volentieri, nonnina mia..." rispose la bella fanciulla "aspettate; vi sciacquo la brocca..." E subito dette alla mezzina una bella risciacquata, la riemp di acqua fresca, e gliela present sostenendola in alto con le sue proprie mani, affinch la vecchiarella bevesse con tutto il suo comodo. Quand'ebbe bevuto, disse la nonnina: "Tu sei tanto bella, quanto buona e quanto per benino, figliuola mia, che non posso fare a meno di lasciarti un dono". Quella era una Fata, che aveva preso la forma di una povera vecchia di campagna per vedere fin dove arrivava la bont della giovinetta. E continu: "Ti do per dono che ad ogni parola che pronunzierai ti esca di bocca o un fiore o una pietra preziosa". La ragazza arriv a casa con la brocca piena, qualche minuto pi tardi; la mamma le fece un baccano del diavolo per quel piccolo ritardo. "Mamma, abbi pazienza, ti domando scusa...", disse la figliuola tutta umile, e intanto che parlava le uscirono di bocca due rose, due perle e due brillanti grossi. "Ma che roba questa!...", esclam la madre stupefatta, "sbaglio o tu sputi perle e brillanti!... O come mai, figlia mia?..." Era la prima volta in tutta la sua vita che la chiamava cos, e in tono affettuoso. La fanciulla raccont ingenuamente quel che le era accaduto alla fontana; e durante il racconto, figuratevi i rubini e i topazi che le caddero gi dalla bocca! "Oh, che fortuna...", disse la madre, "bisogna che ci mandi subito anche quest'altra. Senti, Cecchina, guarda che cosa esce dalla bocca della tua sorella quando parla. Ti piacerebbe avere anche per te lo stesso dono?... Basta che tu vada alla fonte; e se una vecchia ti chiede da bere, daglielo con buona maniera." "E non ci mancherebbe altro!...", rispose quella sbadata. "Andare alla fontana ora!" "Ti dico che tu ci vada... e subito", grid la mamma.

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Cappuccetto Rosso

Incipit

C'era una volta in un villaggio una bambina, la pi carina che si potesse mai vedere. La sua mamma n'era matta, e la sua nonna anche di p. Quella buona donna di sua madre le aveva fatto fare un cappuccetto rosso, il quale le tornava cos bene a viso, che la chiamavano dappertutto Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre, avendo cavate di forno alcune stiacciate, le disse: "Va' un po' a vedere come sta la tua nonna, perch mi hanno detto che era un po' incomodata: e intanto portale questa stiacciata e questo vasetto di burro". Cappuccetto Rosso, senza farselo dire due volte, part per andare dalla sua nonna, la quale stava in un altro villaggio. E passando per un bosco s'imbatt in quella buona lana del Lupo, il quale avrebbe avuto una gran voglia di mangiarsela; ma poi non ebbe il coraggio di farlo, a motivo di certi taglialegna che erano l nella foresta. Egli le domand dove andava. La povera bambina, che non sapeva quanto sia pericoloso fermarsi per dar retta al Lupo, gli disse: "Vo a vedere la mia nonna e a portarle una stiacciata, con questo vasetto di burro, che le manda la mamma mia". "Sta molto lontana di qui?", disse il Lupo. "Oh, altro!", disse Cappuccetto Rosso. "La sta laggi, passato quel mulino, che si vede di qui, nella prima casa, al principio del villaggio." "Benissimo", disse il Lupo, "voglio venire a vederla anch'io. Io piglier da questa parte, e tu da quell'altra, e faremo a chi arriva pi presto." Il Lupo si messe a correre per la sua strada, che era una scorciatoia, con quanta forza avea nelle gambe: e la bambina se ne and per la sua strada, che era la pi lunga, baloccandosi a cogliere le nocciuole, a dar dietro alle farfalle, e a fare dei mazzetti con tutti i fiorellini, che incontrava lungo la via. Il Lupo in due salti arriv a casa della nonna e buss. "Toc, toc." "Chi ?" "Sono la vostra bambina, son Cappuccetto Rosso", disse il Lupo, contraffacendone la voce, "e vengo a portarvi una stiacciata e un vasetto di burro, che vi manda la mamma mia." La buona nonna, che era a letto perch non si sentiva troppo bene, gli grid: "Tira la stanghetta, e la porta si aprir". Il Lupo tir la stanghetta, e la porta si apr. Appena dentro, si gett sulla buona donna e la divor in men che non si dice, perch erano tre giorni che non s'era sdigiunato. Quindi rinchiuse la porta e and a mettersi nel letto della nonna, aspettando che arrivasse Cappuccetto Rosso, che, di l a poco, venne a picchiare alla porta. "Toc, toc." "Chi ?" Cappuccetto Rosso, che sent il vocione grosso del Lupo, ebbe dapprincipio un po' di paura; ma credendo che la sua nonna fosse infreddata rispose: "Sono la vostra bambina, son Cappuccetto Rosso, che vengo a portarvi una stiacciata e un vasetto di burro, che vi manda la mamma mia".

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Il gatto con gli stivali

Incipit

Un mugnaio, venuto a morte, non lasci altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto. Cos le divisioni furono presto fatte: n ci fu bisogno dell'avvocato e del notaro; i quali, com' naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredit. Il maggiore ebbe il mulino. Il secondo, l'asino. E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto. Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte cos meschina. "I miei fratelli", faceva egli a dire, "potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune: ma quanto a me, quando avr mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisogner che mi rassegni a morir di fame." Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo: "Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e dopo vi far vedere che nella parte che vi toccata, non siete stato trattato tanto male quanto forse credete". Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che fin coll'aver qualche speranza di trovare in lui un po' di aiuto nelle sue miserie. Appena il gatto ebbe ci che voleva, s'infil bravamente gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne and in una conigliera, dove c'erano moltissimi conigli. Pose dentro al sacco un po' di crusca e della cicerbita: e sdraiandosi per terra come se fosse morto, aspett che qualche giovine coniglio, ancora novizio dei chiapperelli del mondo, venisse a ficcarsi nel sacco per la gola di mangiare la roba che c'era dentro. Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti un coniglio, giovane d'anni e di giudizio, che entr dentro al sacco: e il bravo gatto, tirando subito la funicella, lo prese e l'uccise senza piet n misericordia. Tutto glorioso della preda fatta and dal Re, e chiese di parlargli.

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Enrichetto dal ciuffo

Incipit

C'era una volta una Regina, la quale partor un figliuolo cos brutto e cos male imbastito, da far dubitare per un pezzo se avesse fattezze di bestia o di cristiano. Una fata, che si trov presente al parto, dette per sicuro che egli avrebbe avuto molto spirito: e aggiunse di pi, che in grazia di un certo dono particolare, fattogli da lei, avrebbe potuto trasfondere altrettanta dose di spirito e d'intelligenza in quella persona, chiunque si fosse, che egli avesse amato sopra tutte le altre. Questa cosa consol un poco la povera Regina, la quale non poteva darsi pace di aver messo al mondo un brutto marmocchio a quel modo! Il fatto egli , che appena il fanciullo cominci a spiccicar parola, disse delle cose molto aggiustate: e in tutto quello che faceva, mostrava un so che di cos aggraziato, che piaceva e dava nel genio a tutti. Mi dimenticava di dire che egli nacque con un ciuffettino di capelli sulla testa: e per questo lo chiamarono Enrichetto dal ciuffo: perch Enrichetto era il suo nome di battesimo. In capo a sette o otto anni, la Regina di uno Stato vicino partor due bambine. La prima, che venne al mondo, era pi bella del Sole; e la Regina ne sent un'allegrezza cos grande, da far temere per la sua salute. La stessa fata, che aveva assistito alla nascita di Enrichetto dal ciuffo, si trov presente anche a quest'altra: e per moderare la gioia della Regina, le dichiar che la piccola Principessa non avrebbe avuto neppur l'ombra dello spirito, per cui sarebbe stata tanto stupida, quanto era bella. La Regina rimase molto male di questa cosa: ma pochi momenti dopo ebbe un altro dispiacere anche pi grosso, nel vedere che la seconda figlia, che aveva partorito, era talmente brutta da fare paura. "Non vi disperate, signora", le disse la fata, "la vostra figlia sar ricompensata per un altro verso; essa avr tanto spirito, da non avvedersi nemmeno della bellezza che non l' toccata." "Dio voglia che sia cos!", rispose la Regina, "ma non ci sarebbe modo di fare avere un po' di spirito anche alla maggiore che tanto bella?" "Per quanto allo spirito, o signora, io non ci posso far nulla", disse la fata, "ma posso tutto per la parte della bellezza; e siccome non c' cosa al mondo che non farei per vedervi contenta, cos le conceder in dono la virt di far diventare bella la persona che pi sar di suo genio." A mano a mano che le due Principesse crescevano, crescevano con esse i loro pregi, fino al punto che non si parlava d'altro che della bellezza della pi grande e dello spirito della minore.

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La Bella dai capelli d' oro

Incipit

C'era una volta la figlia di un Re, la quale era tanto bella, che in tutto il mondo non si dava l'eguale; e per cagione di questa sua grande bellezza, la chiamavano la Bella dai capelli d'oro, perch i suoi capelli erano pi fini dell'oro, e biondi e pettinati a meraviglia le scendevano gi fino ai piedi. Essa andava sempre coperta dai suoi capelli inanellati, con in capo una ghirlanda di fiori e con delle vesti tutte tempestate di diamanti e di perle, tanto che era impossibile vederla e non restarne invaghiti. In quelle vicinanze c'era un giovane Re, il quale non aveva moglie, ed era molto ricco e molto bello della persona. Quando egli venne a sapere tutte le belle cose che si dicevano della Bella dai capelli d'oro, sebbene non l'avesse ancora veduta, se ne innamor cos forte, che non beveva n mangiava pi; finch un bel giorno, fatto animo risoluto, pens di mandare un ambasciatore per chiederla in isposa. Fece fabbricare apposta una magnifica carrozza per il suo ambasciatore: gli dette pi di cento cavalli e cento servitori, e si raccomand a pi non posso perch gli conducesse la Principessa. Appena l'ambasciatore ebbe preso congedo dal Re e si fu messo in viaggio, alla Corte non si parlava d'altro: e il Re, che non dubitava punto che la Principessa non volesse acconsentire ai suoi desideri, cominci subito a farle allestire degli abiti bellissimi e dei mobili di gran valore. Intanto che erano dietro a questi preparativi, l'ambasciatore, che era arrivato alla Corte della Bella dai capelli d'oro, recit il suo bravo discorso; ma sia che la Principessa in quel giorno non fosse di buon umore, sia che il complimento non le andasse a genio, fatto sta che rispose all'ambasciatore di ringraziare il Re e di dirgli che non aveva voglia di maritarsi. L'ambasciarore se ne part dalla Principessa dispiacentissimo di non poterla condur seco: e riport indietro tutti i regali, che doveva presentarle da parte del Re: perch la Prilicipessa era molto onesta, e sapeva che alle ragazze non sta bene di accettare i regali dai giovinotti. Per cui non volle gradire n i diamanti n le altre cose; e solo per non scontentare il Re, accett una carta di spilli d'Inghilterra.

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L'uccello turchino

Incipit

C'era una volta un Re, molto ricco di quattrini e di terre: la sua moglie mor, ed egli ne fu inconsolabile. Per otto giorni intieri si chiuse in un piccolo salottino, dove picchiava il capo nel muro, tanto era il dolore che gli straziava l'anima; per paura che finisse coll'ammazzarsi, furono accomodate delle materasse fra il muro e i parati della stanza. Cos poteva sbatacchiarsi a suo piacere, e non c'era caso che potesse farsi del male. Tutti i suoi sudditi si messero d'accordo per andare a trovarlo e dirgli quelle ragioni credute pi adatte, per iscuoterlo dalla sua tristezza. Alcuni prepararono dei discorsi molto seri: altri uscirono fuori con delle cose piacevoli e anche allegre: ma tutte queste ciarle non fecero su lui n caldo n freddo. Esso non badava neppure a quello che gli dicevano. Alla fine gli si present, fra gli altri, una donna tutta abbrunata e coperta di veli neri, di mantiglie e di strascichi da gran lutto, la quale piangeva e singhiozzava cos forte, e con urli cos acuti e sfogati, che il Re ne rimase sbalordito. Ella gli disse che non aveva intenzione di fare come gli altri: e che andava non per iscemargli il suo dolore, ma piuttosto per accrescerlo, perch non sapeva che ci potesse essere una cosa pi giusta nel mondo di quella di piangere una buona moglie perduta: e che ella, a cui era toccato il migliore di tutti i mariti, faceva conto di piangerlo, finch avesse avuto lacrime e occhi. A questo punto, raddoppi le sue grida e i suoi pianti, e il Re, sull'esempio di lei, si messe a berciare come un bambino. Egli la ricev meglio di tutti gli altri: e le raccont la storia delle belle doti della sua cara defunta, mentre ella faceva altrettanto dei pregi del suo caro defunto; e discorsero tanto e tanto, che nessuno dei due sapeva pi che cosa si dire sul conto della loro grande afflizione. Quando la furba vedovella si accorse che l'argomento era agli sgoccioli, alz un pochino il velo e il Re pot ricrearsi la vista nel mirare questa bella sconsolata, che sotto due lunghe ciglia nerissime girava e muoveva con moltissim'arte un paio d'occhi, grandi e turchini, come l'azzurro d'un cielo stellato. Il suo carnato era sempre fresco. Il Re cominci a guardarla con molta attenzione: a un poco per volta, parl meno della sua moglie, e fini col non parlarne pi. La vedova badava a dire di voler piangere sempre il suo marito: e il Re la consigliava a non voler rendere eterno il suo dolore. Per farla corta, tutti cascarono dalle nuvole, nel sentire che il Re l'aveva sposata, e che il nero s'era cambiato in verde e in color di rosa. Spesso e volentieri basta conoscere il debole delle persone, per impadronirsi del loro cuore e farne quel che ci pare e piace. Il Re, dal suo primo matrimonio, non aveva avuto che una sola figlia, la quale passava per l'ottava meraviglia del mondo; e si chiamava Fiorina, perch somigliava alla Flora, tanto era fresca, giovine e bella. Ella non portava mai vestiti sfarzosi; preferiva invece la seta leggera, con qualche fermaglio di pietre preziose e molte ghirlande di fiori, che facevano una figura magnifica intorno ai suoi bellissimi capelli. Aveva quindici anni, quando il Re si rimarit. La novella Regina mand a prendere una sua figlia, che era stata allevata in casa della sua comare, la fata Sussio: ma non per questo era diventata pi bella e pi graziosa. La fata ci aveva messo un grand'impegno: ma senza concluder nulla di buono: nondimeno le voleva moltissimo bene. La chiamavano Trotona, perch aveva sul viso delle macchie rossastre, come quelle della trota: i suoi capelli erano cos grassi e imbiosimati, da non giovarsene a toccarli e dalla sua pelle giallastra gocciolava l'unto.

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La Gatta Bianca

Incipit

C'era una volta un Re il quale aveva tre figli: tre pezzi di giovanotti forti e coraggiosi; ed egli si era messo paura che volessero salire sul trono prima della sua morte: tanto pi, che stando a certe voci che correvano, i suoi figli cercavano dappertutto di farsi dei partigiani per impadronirsi del regno. Il Re cominciava a essere un po' in l cogli anni, ma essendo ancora verde di spirito e sano di mente, non se la sentiva punto di cedere loro un posto, occupato da lui con tanta dignit. Pens, dunque, che il miglior partito per vivere tranquillo fosse quello di tenerli a bocca dolce a furia di promesse, che egli avrebbe saputo sempre deludere e mandare in fumo. Li chiam nel suo gabinetto, e dopo aver parlato alla buona di varie cose, salt fuori col dire: "Miei cari figli, voi converrete meco che la mia et avanzata non mi permette pi di accudire agli affari di Stato con lo stesso impegno d'una volta; temo che i miei sudditi ne abbiano a risentire i danni, ed per questo che ho deciso di mettere la corona sul capo a uno di voi tre. Peraltro ben giusto che in compenso di un regalo simile, voi dobbiate cercare di compiacermi nel disegno, che oramai ho fatto, di ritirarmi in campagna. Mi pare che un canino vispo, fido, grazioso potrebbe tenermi un'ottima compagnia: cos, senza stare a scegliere il figlio maggiore piuttosto del minore, io vi dichiaro che quello che di voi tre mi porter il canino pi bello, quello sar il mio erede". I principi restarono sorpresi del capriccio del loro padre per un canino, ma i due minori vi trovarono il loro tornaconto ed accettarono con piacere la commissione di andare in cerca di un cane. Quanto al figlio maggiore, era troppo timido e troppo rispettoso per far valere i suoi diritti. Presero quindi congedo dal Re, il quale li forn d'oro e di pietre preziose, soggiungendo che fra un anno, n pi n meno, in quello stesso giorno e alla medesima ora, dovessero tornare a portargli ciascuno il suo canino.

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La Cervia nel bosco

Incipit

C'era una volta un Re e una Regina che stavano fra loro d'accordo come due anime in un nocciolo: si amavano teneramente ed erano adorati dai loro sudditi; ma alla felicit completa degli uni e degli altri mancava una cosa: un erede al trono. La Regina, la quale sapeva che il Re l'avrebbe amata il doppio se avesse avuto un figlio, non lasciava mai in primavera di andare a bere certe acque che si dicevano miracolose per aver figliuoli. A queste acque ci correva la gente in folla da ogni parte; e il numero dei forestieri era cos stragrande, che ci si trovavano di tutti i paesi del mondo. In un gran bosco, dove si andava a beverle, c'erano parecchie fontane: le quali erano di marmo o di porfido, perch tutti gareggiavano a chi le faceva pi belle. Un giorno che la Regina stava seduta sull'orlo d'una fontana, ordin alle sue dame di compagnia di allontanarsi e di lasciarla sola e poi cominci i suoi soliti piagnistei. "Come sono disgraziata", diceva essa, "di non aver figli! sono ormai cinque anni che chiedo la grazia di averne uno; e ancora non ho potuto averla. Dovr dunque morire senza provare questa consolazione?" Mentre parlava cos, osserv che l'acqua della fontana era tutta mossa; poi venne fuori un grosso gambero e le disse: "O gran Regina! finalmente avrete la grazia desiderata. Dovete sapere che qui vicino c' un magnifico palazzo fabbricato dalle fate: ma impossibile trovarlo, perch circondato da nuvole foltissime attraverso alle quali non passa occhio mortale: a ogni modo, siccome io sono vostro servitore umilissimo, eccomi qui pronto a menarvici se volete fidarvi alla guida di un povero gambero". La Regina lo stette a sentire senza interromperlo, perch la cosa di vedere un gambero che discorreva, l'aveva sbalordita dalla meraviglia: quindi gli disse che avrebbe gradita volentieri la sua offerta, ma che non sapeva, come lui, camminare all'indietro. Il gambero sorrise e prese subito l'aspetto di una bella vecchietta. "Ecco fatto, o signora", le disse, "cos non cammineremo pi all'indietro. Ma vi domando una grazia: tenetemi sempre per una delle vostre amiche, perch io non desidero altro che di esservi utile a qualche cosa."

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Il Principe Amato

Incipit

C'era una volta un Re, il quale era proprio una persona tanto perbene, che i suoi sudditi lo chiamavano il Re buono. Un giorno, mentre trovavasi a caccia, accadde che un coniglio bambino, che stava l per essere ucciso dai cani, venne a gettarsi fra le sue braccia. Il Re fece delle carezze alla povera bestiolina e disse: "Giacch si messo sotto la mia protezione, non voglio che nessuno gli faccia del male". E port il piccolo coniglio nel suo palazzo, e gli fece dare una bella stanzina e delle erbe eccellenti da mangiare. Nella notte, quando fu solo in camera, il Re vide apparire una bella donna, la quale non era vestita con abiti ricamati d'oro e d'argento, ma la sua veste era bianca come la neve, e portava in testa una corona di rose bianche. Il buon Re rimase molto maravigliato nel vedere questa signora, tanto pi che l'uscio di camera era chiuso, n sapeva capacitarsi come diavolo avesse fatto a passar dentro. "Io sono la fata Candida, e passando per il bosco mentre eravate a caccia, volli vedere se veramente siete quel buon Re, che tutti dicono. A questo fine presi la figura di un piccolo coniglio e mi messi in salvo fra le vostre braccia: perch so che chi sente piet per le bestie, la sente anche per gli uomini: e se mi aveste ricusato il vostro soccorso, vi avrei tenuto per un cattivo. Vi ringrazio dunque del bene che mi avete fatto, e contate che io sar sempre vostra buonissima amica. Voi non dovete far altro che chiedere, e tutto vi sar accordato". "Signora", disse il buon Re, "poich siete una fata, voi dovete leggermi in cuore quel che desidero. Io non ho che un figlio solo, al quale voglio un bene dell'anima, tanto che lo chiamano tutti il Principe Amato. Se mi volete fare un regalo, pigliate a benvolere questo mio figlio." "Con tutto il cuore", rispose la fata, "io posso fare del vostro figlio o il pi bel Principe del mondo, o il pi ricco, o il pi potente. Scegliete voi."

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La Bella e la Bestia

Incipit

C'era una volta un mercante che era ricco sfondato. Aveva sei figliuoli, tre maschi e tre femmine; e siccome era un uomo che sapeva il vivere del mondo, non risparmi nulla per educarli e diede loro ogni sorta di maestri. Le sue figlie erano bellissime: la minore soprattutto era una maraviglia, e da piccola la chiamavano la bella bambina, e di qui le rimase il soprannome di Bella, che fu poi cagione di gran gelosia per le sue sorelle. Questa figlia minore, oltr'essere la pi bella, era anche la pi buona delle altre. Le due maggiori, perch erano ricche, avevano molto fumo; si davano l'aria di grandi signore, e non gradivano la compagnia delle figlie degli altri negozianti, ma se la dicevano soltanto col nobilume. Andavano dappertutto: ai balli, alle commedie, alle passeggiate; e si ridevano della sorella minore, perch spendeva una gran parte del suo tempo nella lettura dei buoni libri. E perch si sapeva che erano molto ricche, parecchi negozianti, di quelli grossi davvero, le chiesero in mogli; ma la maggiore e la seconda dissero chiaro e tondo che non si sarebbero mai maritate, se non fosse capitato loro un Duca o a dir poco un Conte.

La Bella (oramai vi ho detto che questo era il nome), la Bella, dunque, ringrazi con molta buona maniera coloro che volevano sposarla: e disse che era troppo giovane e che voleva tener compagnia ancora per qualche anno al suo genitore. Quand'ecco che tutto a un tratto il mercante fece un gran fallimento e non gli rimase altro che una piccola casa assai lontana dalla citt. Disse allora ai suoi figli, colle lacrime agli occhi, che bisognava rassegnarsi e andare ad abitare in quella casetta dove, mettendosi tutti a fare i contadini, avrebbero potuto campare e tirarsi avanti. Le due ragazze pi anziane risposero che non volevano saperne nulla di lasciare la citt, dov'avevano molti amanti, ai quali non sarebbe parso vero di poterle sposare, anche senza un soldo di dote. Ma le povere figliuole s'ingannavano all'ingrosso perch, quando furono povere, tutti i loro amanti girarono largo. E siccome, a motivo della loro superbia, non erano in generale ben vedute, cosi dicevano tutti: "Non meritano compassione: giusta che abbiano dovuto ripiegare le corna; che vadano ora a fare le grandi signore dietro le pecore e i montoni!". Ma nel tempo stesso tutti dicevano: "Quanto alla Bella, ci rincresce proprio della sua disgrazia: una gran buona figliuola! cos alla mano coi poveri, e tanto amorosa e gentile!".

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Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino

Incipit

COME AND CHE MAESTRO CILIEGIA, FALEGNAME, C TROV UN PEZZO DI LEGNO, CHE PIANGEVA E RIDEVA COME UN BAMBINO.

Cera una volta... Un re! diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. Cera una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che dinverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli che un bel giorno questo pezzo di legno capit nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastrAntonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegr tutto e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbott a mezza voce: Questo legno capitato a tempo: voglio servirmene per fare una gamba di tavolino. Detto fatto, prese subito lascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo, ma quando fu l per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perch sent una vocina sottile, che disse raccomandandosi: Non mi picchiar tanto forte! Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia! Gir gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guard sotto il banco, e nessuno; guard dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guard nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; apri luscio di bottega per dare unocchiata anche sulla strada, e nessuno! O dunque?... Ho capito; disse allora ridendo e grattandosi la parrucca, si vede che quella vocina me la sono figurata io. Rimettiamoci a lavorare. E ripresa lascia in mano, tir gi un solennissimo colpo sul pezzo di legno. Ohi! tu mhai fatto male! grid rammaricandosi la solita vocina. Questa volta maestro Ciliegia rest di stucco, cogli occhi fuori del capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua gi ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana. Appena riebbe luso della parola, cominci a dire tremando e balbettando dallo spavento: Ma di dove sar uscita questa vocina che ha detto ohi?... Eppure qui non c anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi come un bambino? Io non lo posso credere...

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